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Nativita Valeriano
14 Ottobre 2019

Il Pordenone, un pittore di grido

DI LÀ DA L'AGHE, SPILIMBERGO di Gianni Colledani

Dopo l’interesse che il Pordenone suscitò nel 1984 in occasione dei 500 anni della nascita, ecco che intorno a questo nostro pittore si riaccendono i riflettori grazie all’interessamento di diversi studiosi locali e nazionali tra cui Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi. Giovanni Antonio de’ Sacchis nacque a Pordenone intorno al 1483/84, figlio di una tal Maddalena e del mastro muratore Angelo di Bartolomeo nativo di Corticelle nel Bresciano e crebbe assieme ai fratelli Bartolomeo, Baldassare ed Elena. A vent’anni, nel 1504, si sposò con Anastasia figlia di Stefano da Gianusa nel Bellunese e, seguendo la sua naturale inclinazione al disegno e alla pittura, cominciò subito a lavorare e venne a “far pratica nel contado”, tanto che, nel 1506, allora alle sue prime esperienze di frescante sulla scia del rigido impianto tolmezzino, pose mano al ciclo nella chiesa di San Lorenzo di Vacile e a Valeriano in Santo Stefano dove c’è la sua prima opera firmata. Da quel momento non gli mancarono le commesse e tra la città natale e la Pedemontana spilimberghese (Valeriano, Pinzano, Travesio, Lestans, Gaio, Baseglia e Spilimbergo) cominciò a muoversi frequentemente per soddisfare le sempre più numerose richieste. Questi sono i paesi della Destra Tagliamento attraverso cui si snoda quella che è stata chiamata “la strada maestra della pittura friulana”, grazie proprio alla presenza di Giovanni Antonio che vi lasciò, nei primi decenni del '500, mirabile traccia della sua bravura. E questo perché il Pordenone non è il solito misconosciuto pittore periferico, ma perché, avendo lavorato a Mantova, Cremona, Piacenza, Genova, Cortemaggiore e Venezia, è entrato ormai a buon diritto nei vip della storia dell’arte. Ma chi era il Pordenone? Come pittore, non mancheranno prossimamente esaurienti saggi atti a illustrarcelo da ogni angolazione e con le dovute sfumature critiche. Del Pordenone come uomo, invece, ci sia permesso dare almeno brevemente qualche traccia di base indagando su quella comune essenza di umanità che, essendo in fondo anche la nostra, ci permette di seguirlo passo passo in quei luoghi che egli vide e che noi stessi oggi vediamo. Fu un pittore estremamente attivo e soprattutto abile e rapidissimo come appunto richiede la tecnica dell’affresco in cui fu maestro impareggiabile. Tra il secondo e il terzo decennio del '500 visse quasi stabilmente a Spilimbergo dove aveva pied à terre nella casa di tal prete Grillo che sorgeva, prima della maldestra demolizione avvenuta nel 1957, in quell’area che oggi porta il nome di piazza Garibaldi. Erano gli anni in cui si cominciava a ricostruire il castello andato in cenere nel furioso incendio del 1511 e non mancavano certo le occasioni per guadagnare una lira, chè in queste cose i Signori di Spilimbergo erano di manica larga e non lesinavano per abbellire le loro dimore e il Duomo di cui erano giuspatroni. E fu qui che, nel 1524/25, egli dipinse le portelle dell’organo con l’Assunzione sul retto e la Caduta di Simon Mago e la Caduta di Paolo di Tarso sul verso.
Nel 1513 lo troviamo sposato con una vedova, tale Elisabetta del fu Francesco Quagliati, da cui ebbe diversi figli tra cui si ricordano Aloisa, Antonio, Ludovica e Graziosa, la prediletta, che diede in sposa nel 1534 a Pomponio Amalteo il suo più abile allievo. A Travesio, tra il 1511 e il 1516, il Pordenone affrescò l’abside della chiesa di San Pietro apostolo con scene della vita del medesimo. Un’opera mirabile e prestigiosa ma, ahimè, cara. Tanto cara che la comunità riuscì a estinguere il debito solo dopo 20 anni, a forza di raccogliere per le case formaggio, burro e uova. Ormai Giovanni Antonio è un pittore di grido, appalta e subappalta lavori, investe in terreni, prende acconti per opere che farà eseguire da altri. Tale è il flusso di denaro in entrata (ma anche in uscita) che egli si può permettere un treno di vita sfarzosa e un po’ sregolata, compromessa da un temperamento collerico da padre-padrone, incline alle baruffe tanto che, per una antica ruggine relativa a questioni di eredità, viene denunciato dal fratello Baldassare per aver attentato alla sua vita. Fu geniale e, come tanti artisti, un po’ strambo, un autentico dandy dalla vita familiare piuttosto disordinata (nel 1533, in terze nozze, aveva impalmato tale Elisabetta Frescolini) alle cui spalle viveva un codazzo di aiutanti, di pittorucoli, di fantesche e di amanti. E, a tal proposito, la vox populi tramanda che il dolce volto della Madonna della Natività nell’Oratorio di Santa Maria dei Battuti di Valeriano è quello della sua amante di Travesio, paese allora famoso per la proverbiale avvenenza delle sue donne: “…femines di gran riguart che di miei a no ‘nd è nancja a Puart”. Portogruaro, città eminente per agricoltura e commercio e sede vescovile.
Il Pordenone era insomma uno che amava vivere alla grande, giustificato dal prestigio e dalla considerazione che godeva per quel suo dipingere largo e maestoso in cui i personaggi assumevano vitalità michelangiolesca e sorrisi quasi leonardeschi. Troppo spesso però per un nonnulla si accendeva d’ira e diventava scorbutico e manesco e tante sue rare capacità venivano guastate e compromesse. Insomma, una specie di Caravaggio ante litteram. A tutto rimediò nostra corporal sorella morte che lo colse all’eta di 56 anni a Ferrara dove, su invito di Ercole II, lavorava a dei cartoni per arazzi. E ciò avvenne per “grandissimo affanno di petto” (forse bronco polmonite?) il 13 gennaio 1539 nell’osteria dell’Angelo dove il duca lo teneva alloggiato e foraggiato. Siccome tirò le cuoia con una certa rapidità, ci fu qualcuno che parlò, forse non a sproposito, di avvelenamento. Non ci sarebbe da meravigliarsi, chè di nemici ne aveva legione. Certo è che lasciò questa valle di lacrime tra il partecipato compianto di tanti che gli volevano bene e di tanti che non gliene volevano. E fu tenebra. Per fortuna sopravvive la luce che ancora inonda le malte delle chiese e gli occhi dei visitatori. A ricordo di un momento felice di questo nostro Rinascimento friulano che ora, pur nella penombra di una vita agra, ritorna prepotentemente alla ribalta.  Sic transit gloria mundi.

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