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17 Giugno 2019

Giardini terapeutici ibridi

Di Enrico Sello

Premesso che ogni giardino, anche poco curato, possa fare del bene a chi lo guarda, lo cura e lo pratica, quelli terapeutici hanno un compito in più, perché si confrontano con utenti particolari e devono essere loro stessi particolari.
La funzione principale, detta così in maniera semplificata al massimo, è quella evocativa, cioè che provoca, con mezzi indiretti, un particolare contenuto psichico, o induce a un determinato stato d’animo. Suggestione operata sulla memoria, sulla fantasia, sul sentimento; in poche parole che lavora sui ricordi. La memoria delle persone afflitte da malattie degenerative affonda in genere sul lontano passato, sul ricordo del piccolo giardino di casa, sull’orto, sui fiori di balconi e terrazzi.
Forme archetipiche di esemplari forme assolute e autonome del giardino in tutti i suoi aspetti e le sue varianti. Una cosa fondamentale nel progetto di tali giardini è quella di dare sicurezza, la stessa provata a suo tempo nel proprio orto o giardino che era.
Quindi nessun “giardino dei sentieri che si biforcano” per dirla alla Borghes, ma la certezza di un percorrere unico che non crea spaesamento e titubanza; labirinti anche no. La forma che prende in genere questo progetto in pianta viene definita a “osso di cane”, forma infausta per ogni progettista che si meriti questo titolo. Restano invece, come ben accette, le forme semplici, geometricamente solide e chiare quali cerchi, ellissi, semplici rettangoli o quadrati. Cosa metterci dentro a questi giardini è il secondo passaggio dopo averne individuato la forma. Di tutto e di più lo lasciamo alla ridondante cultura vivaistica che cerca di piazzare tutto il mondo botanico; dobbiamo trovare un tema dominante, curare uno o due aspetti e seguirli fino in fondo. Questa scelta di cosa mettere può andare nella direzione della stagionalità delle specie oppure negarla.
La differenza è enorme; da una parte abbiamo un giardino che si evolve, che cambia ritmo nel tempo, indica le diverse fasi della crescita e della evoluzione; dall’altra un giardino immobile, imbalsamato, se si preferiscono delle specie sempreverdi. La scelta è culturale come sempre.
Io voglio qualcosa che si muove piuttosto di un’altra che sta ferma. Va da sé, che come si intuisce dalle righe e tra le righe, io ami le piante che posso veder nascere, crescere, e anche morire, contro le altre che in friulano prendono il nome di “Pipinots”. Voglio anche piante che si agitano a un minimo alito di vento, che attirino api e insetti, che facciano nascondere gli uccelli e perché no producano qualcosa che va oltre alla contemplazione visiva e al suo godimento. Cosa c’è di meglio di una fragola (nostra) spiccata dalla pianta, o un grappolo d’uva, o un pomidoro bello rosso.
Qualcosa che fa riportare la memoria al proprio orto di casa in cui l’essenza di un proprio frutto è quella di essere il migliore in assoluto, il più sano e buono, rispetto a quelli di tutti gli altri.
Quindi un po’ ricapitolando: giardino dalla forma precisa, con piante decidue, con frutti edibili.
E anche essenze profumate, colorate, alternate nelle fioriture, locali e rustiche.
A quest’ultimo aspetto, quello legato alle piante simbolo del territorio friulano, quel popolo che per intenderci chiama ogni albero “morâr”, il loro significato palese è quello di sembrare lì da sempre per qualche funzione e motivo, anche se ora dimenticato nell’uso originario.
Gelso/baco, Carpino/roccolo, Noce/frutto, Sorbo/uccelli, Uva/vino, ecc., questi dobbiamo proprio metterli a dimora, anche questi evocano solo cose belle e non quelle brutte. Alla fine questo giardino con tutte queste caratteristiche è un giardino per tutti e non solo per persone a limitata memoria o deambulazioni accessoriate o a malati con prognosi dal nome tedesco.
Un giardino è terapeutico per tutti, perché la sua presenza o assenza influisce sulla energia di un luogo, la trasforma e la migliora, modifica gli spazi in qualcosa di diverso e più buono, porta con sé voglia di vivere in armonia con la natura di cui tutti abbiamo bisogno.
Giardino de “ La Quiete” Udine

In uno spazio ritagliato tra gli edifici esistenti non c’era nulla, solo una distesa di sassi ed erbacce.
La struttura de La Quiete non ha mai avuto un suo giardino ed era ora di darglielo proprio nel luogo in cui tutti gli edifici si affacciano.
Lì ho sognato un bosco, un bosco urbano, si intende, fatto di piante di faggio che col tempo crescono anche più di 20 metri, che perdono le foglie e le ricacciano in primavera, con canti di uccelli e ombra d’estate.
Piante forti e maestose nella forma, alberi di mezza montagna adattati alla pianura, piante frondose e liete.
Insieme a questo bosco un giardino con forma ellittica, simile alla vicina Piazza 1° maggio, con sentieri che passano in mezzo a piante aromatiche, fioriture e graminacee.
In mezzo all’ellisse un luogo di sosta con dei bidoni rossi usati come abbeveratoi per gli uccelli, e delle delicate luci notturne.
In tutto, al posto dell’erba che non cresce mai sotto gli alberi e costa mantenere, della ghiaia di Sarone a grossa pezzatura, perfettamente bella con le foglie secche cadute, che col tempo cambierà per diventare pian piano la base di un sottobosco umido e umbratile, patria di muschi e di rugiada, mondo complesso e articolato come un pezzo di natura.

Giardino della casa di Tino a Vergnacco di Reana del Rojale

Il progetto degli spazi esterni della casa di Tino prende le mosse dalla tipica casa colonica friulana dotata di un costruito con degli annessi a verde/giardino e orto/vignale.
Cosi, la mossa immediata parte dal tentativo di riportare in vita il piccolo giardino e il vecchio prato e orto di un tempo. Quindi un giardino contemplativo, da guardare e non toccare, e un orto/giardino da praticare e in cui stare. La forma è quella del lotto del prato, un rettangolo stretto e lungo con un percorso centrale e una diramazione a “T” finale verso l’orto.
Tutto nella volontà viaggia in termini di autoproduzione e di autoconsumo, dalla vite a pergola, ai piccoli frutti, ai prodotti stagionali del frutteto rustico, alle uova delle galline lasciate libere di scorrazzare in giro.
Piante simbolo sono usate per la bordura del lotto (carpino), olivi all’ingresso, gelso amico alla fine del percorso. Un riassunto del giardino produttivo alla friulana, tutto quello possibile in uno spazio ridotto, tutto per la felicità di un frutto colto dall’albero.
 

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