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1 Dicembre 2019

FERRAGE PRIMA ERA

Disegni: Massimiliano Gosparini - Testi: Fabio Varnerin

 

1   In quel periodo la gente aveva smesso di parlare continuamente di soldi. Sbrigava le proprie faccende, masticava lentamente quando mangiava, si teneva in forma, andava a volte al cinema. Rispettava sempre le leggi dello stato, anche le più odiose come il nuovissimo divieto di andare in bici senza mani oppure quello assai più severo di parlare con i morti. Ma i morti non parlano mica, se ne stanno muti, immobili, fissi a fissarti dalle lapidi, da quegli oblò che talvolta sono di forma quadrata che sembrano finestre, una distesa di finestre che riempiono quei palazzoni di marmo messi uno attaccato all’altro in cimitero. I morti vivono tutti insieme nel regno dei morti e si affacciano di continuo alle finestre da tanto che si annoiano in quel regno che non sarà mai una repubblica, la repubblica dei morti.

 

2   Le mode cambiavano ogni primo del mese e dalla gonna lunga si passò alla voglia di tenersi in casa un Robot da salotto, da compagnia, da giardino. Ingegneri specializzati in robotica acrobatica diventarono ancora più ricchi e i poveri si costruirono per conto loro i Robot con la carta stagnola.

 

3   Ben presto i Robot dei ricchi detti anche Robots, iniziarono a sfidare, a prendere in giro, a molestare, iniziarono a picchiare in testa i Robot dei poveri detti anche Robò. Un vero sopruso. Bullismo puro, al cento per cento.

 

4   Tutti i figli dei poveri ammassati nel fango delle periferie si lavarono a lungo le mani con la pioggia delle loro lacrime e una sera iniziarono tutti assieme ad impastare il fango con l’intenzione di creare un gigantesco mostro, un Golem di argilla per distruggere i Robot del centro città.
Da quel fango nacque una schifezza, una roba inguardabile, brutta come la fame, fiappa, un pupazzo di melma che tolse per sempre ai quei bambini la voglia di giocare con il pongo. Nel frattempo tra le risate dei passanti i Robots pestavano come matti i poveri Robot dei poveri. Che fare?

 

5   I fanciulli si organizzarono e fecero una colletta tra i banconi del mercato, tra le varie botteghe di souvenirs, nelle osterie, dal barbiere, chiesero soldi ai preti più sensibili, ai molti disoccupati, ai lavoratori delle poste, a tutta la loro gente.

 

6   Tutti i soldi raccolti finirono sul conto corrente bancario del saldatore sarto: un grande genio purtroppo vecchio e cieco dalla nascita. I figli dei poveri avevano affidato a lui il compito di costruire un vero Robot, un castigamatti vendicatore giustiziere tirapugni.
Con questi soldi, pensò il vecchio, potrò andare a curarmi gli occhi a Losanna...

 

7   Dopo due giorni e sei notti il Robot fu presentato ai poveri della periferia.
Bellissimo! Lucente come una lampadina! Evviva Ferrage! Che questo è il suo nome!
Venne battezzato con del Bitter e finalmente anche i poveri della periferia avevano il loro Robot da combattimento. Ad uno ad uno gli strinsero la mano e in lui riposero ogni tipo di aspettativa. Il vecchio genio elencò orgoglioso tutte le qualità di Ferrage ma non arrivò nemmeno a metà dell’interminabile lista che gli si seccò la lingua dopo tanto parlare e la notte era ormai scesa del tutto.
Ferrage tra le tante funzioni sapeva tra l’altro battere a macchina, picchiare duro con il bastone, avvelenare i pozzi.

 

8  Infine si diresse verso il centro della città deciso più che mai a rendere pan per focaccia, sospinto da mille voci che in coro lo spronavano: vai, vai Ferrage, prima che la moda cambi!
All’opera quindi!

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