Scatolificio Udinese s.r.l.
Scatolificio Udinese > News > “DIARIO SU DUE RUOTE”, IL LIBRO DI PIO DOMENIS 12.000 KM IN BICICLETTA DALL’ITALIA ALL’INDIA
< Indietro
Pio Domenis in viaggio, in sella Pio Domenis in sella, 12000 km in bici
1 Dicembre 2019

“DIARIO SU DUE RUOTE”, IL LIBRO DI PIO DOMENIS 12.000 KM IN BICICLETTA DALL’ITALIA ALL’INDIA

DALLE VALLI DEL NATISONE: LA VAL ALBERONE di Aran Cosentino

Pio Domenis nasce nel 1949 a Rodda, piccolo paesino delle Valli del Natisone, sul confine sloveno. Cresciuto in un periodo storico difficile, in condizioni di vita dura, all’età di dodici anni frequentare il seminario era la scelta che lo aspettava. Ma ben presto si rivelò il suo spirito indagatore e, appena diciottenne, durante i magici anni sessanta, iniziò i suoi viaggi in giro per il globo che lo impegneranno per i successivi vent’anni. Pio è un buon amico, un vero giramondo e una persona molto curiosa. Inoltre ha scritto un libro. Più precisamente un diario su due ruote, perché il 26 luglio 2005 alle ore 10 è partito da solo, in bici, dalle valli del Natisone con destinazione lagune del Kerala, India. Il libro si intitola proprio "Diario su due ruote", e  insegna che le distanze tra gli uomini non esistono.
Un testo semplice, sincero che supera ogni preconcetto e con la sua facile comprensibilità ti fa immergere nel mondo caleidoscopico di Pio.
L’importante è lasciarsi coinvolgere e così facendo cambiare prospettiva diventa essenziale.
Ti senti un cittadino del mondo e ti è sempre piaciuto viaggiare: presentati!
Vivo la vita come viene senza pregiudizi e sempre con meno condizionamenti, mi sta stretto il concetto di Stato, nazionalità e tutte le altre etichette. Vorrei che la parola ‘straniero’ fosse cancellata dai dizionari e che la visione dell’umanità fosse allargata. Siamo tutti uno.
Sei appassionato di bici, cosa pensi di questo mezzo?
La bici non è una passione. Resta però il mezzo di locomozione più economico e razionale. Ti porta dove l’auto non può e anche dove non puoi permetterti di andare con l’auto. La passione è una brutta parola che implica l’attaccamento e questo porta inevitabilmente alla delusione.
Da quando ti sposti in bici?
Ho imparato a 9 anni ad andare in bici, ma poi ho dovuto smettere perché ero in collegio. Solo verso i 14 ho iniziato ad andare a scuola a S. Pietro in bici. Quando ero a Ginevra ne ho avuta una con delle piccole ruote. Molto più tardi, in bici ho fatto 1500 km nel Sahara. Ricordo di aver fatto ciclocross in primis con un amico sui sentieri lungo il fiume Natisone. Mi ricordo di aver fatto qualche giretto in bici anche in Togo (Africa Occidentale).
Cosa ti ha spinto a partire per questo lungo viaggio in bici, in solitaria?
Era un sogno nel cassetto, ritrovato e rimotivato dopo 35 anni.
La prima volta lo stesso percorso l’ho fatto in autostop sia all’andata che al ritorno.
È vero che la tua bici proveniva dalla discarica?
Certamente, l’ho comprata dall’amico Zanna (un imbianchino che abita tra Cemur e Scrutto) che aveva messo in vendita del buon materiale usato. Non sapevo neanche di tornare. Biglietto di sola andata. Era un viaggio troppo grande e mi rifiutavo di pensare al dopo.              
Il percorso?
Era l’hippy trail e già lo conoscevo. Avevo la guida Lonely Planet e delle cartine per l’Iran e per il Pakistan. L’Afghanistan era da evitare, perché la notte se sei alla portata di un faro lo sei anche di una mitragliatrice.
Cosa ti ha colpito di più in questo viaggio?
Che siamo fratelli divisi da percezioni di diversità inesistenti.
Quali sono state le tue emozioni, positive o negative affrontando questa avventura?
È tutta un’emozione, mollare tutto e partire è un sogno molto comune, ma frenato dai tabù. Quando ti riesce è una emozione continua, sei dove tu vuoi e non dove ti mandano.
Cosa ti ha colpito delle persone incontrate durante il viaggio?
Viaggiatori anche loro, ma per altre destinazioni... Per esempio l’incontro con Takehiro Kurosawa, giapponese che viaggia in bici, con cui sono ancora in contatto. Ma ho incontrato un sacco di altra gente particolare che fa le cose più strane come quello col parapendio che faceva il giro del Dhaulagiri. Tutte persone con altri obiettivi, però uniti nell’avventura, come da un senso di complicità.
Il giorno che sei arrivato alle lagune del Kerala in India come ti sei sentito?
È stato il coronamento del viaggio, certamente il più magico.
Qual è stato il luogo dove ti sei sentito più a casa? Perché?
È vero che hai trovato sempre ospitalità?
In Italia e Grecia mi nascondevo bene per paura di ladri o “caramba”. Dalla Turchia in poi mi sentivo come protetto dall’ospitalità mussulmana, salvo in città. Basta chiedere, portarsi allo stesso livello e la gente apre il cuore.
In Pakistan e India, è sempre bene chiedere ospitalità per evitare scimmie e serpenti. Era sicuro stare dove stava la gente. La sera era opportuno prendere alloggio in una baracca qualunque con altra gente, con cani o rumore del traffico piuttosto che nascondersi in tenda.
Com’è stato ritornare a casa nelle valli del Natisone?
Mi è rimasta la delusione che ci voglia il visto in ogni posto in cui si sta bene e che purtroppo scade in breve tempo.                                                    
Cosa pensi di questa esperienza?
Lo considero uno sfizio. Fa parte di un cambiamento o di un normale cammino che ha avuto inizio 70 anni fa. Ho sempre un flash, che se prendo ancora troppo veloce una curva mi stampo sull’asfalto, come a 17 anni.                                                                    
Cosa consigli ai giovani d’oggi?
Bella domanda, oggi siamo così staccati dalle tradizioni che ci troviamo tutti pieni di dubbi sul futuro. Penso che l’importante sia di non perdere di vista l’amore per gli altri e l’autostima verso se stessi.
Cos’è rimasto in te dei magici anni sessanta?   
All’epoca la chiamavano subcultura hippy, però cosa c’è sopra?
Sopra la musica, l’amore e l’avventura è rimasto il nozionismo arido e la furbizia.  
Qual è il tuo rapporto con la natura e com’è cambiato attraverso la tua esperienza?                                                
Il rapporto con la natura è cambiato, la guardo con meraviglia e gratitudine. Prima la davo per scontata.
Per finire, ti chiedo cosa vedi in futuro, le tue speranze, i tuoi sogni...
Chi ha speranze e sogni ha un futuro. Gli altri sono già morti, sono degli zombie. In questo viaggio Pio si è trovato a casa dappertutto. Non aveva con sé neppure una lama per tagliare la frutta. Solo, vestito umile, senza gioielli addosso o gadget elettronici, con una bicicletta trovata in discarica. Dimostrazione che l’uomo è tale prima di chiamarsi Pakistano, Zoroastriano, Indo-Europeo, di lingua particolare, manovale, divorziato... A questo livello il contatto è possibile e l’armonia pure se riusciamo a vedere tutti come nostri simili su un piano di uguaglianza e interdipendenza.

POR FESR 2014 2020