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Autunno 2022

Lo Scatolino nr.37

Eccoci all’autunno e alla bellezza dei suoi colori. La stagione di preziosi raccolti che rimandano a ricordi giovanili. Chi è figlio della terra mantiene con essa un legame inscindibile come con la madre. La natura in autunno si spoglia per resistere al freddo invernale, noi, al contrario, dovremo vestirci con tanta lana per non trovarci a dover scegliere tra il termosifone e una sana minestra calda. Costi lievitati a dismisura e non giustificati dalla grave situazione che stiamo vivendo, subendo. Correva l’anno 1973 e stavo assolvendo agli obblighi di leva presso la Cecchignola a Roma. Tutti a piedi, c’era la crisi petrolifera a causa della guerra del Kippur e vigeva il blocco delle auto. Sempre una guerra di mezzo anche oggi, ma la prospettiva è più grave. Fossero vivi mio padre e mio zio, reduci della II Guerra mondiale, potrebbero ripetermi quelle pochissime parole dette sui terribili inverni in campo di concentramento l’uno e nella ritirata di Russia l’altro. Sono sopravvissuti entrambi e, se Dio vuole, sopravviveremo anche noi. Andremo a nanna prima del solito, infilandoci sotto la coltre imbottita e qualche coperta se non basta. Si dorme meglio al freddo, è più salutare. Anche se perdiamo qualche programma televisivo non è il caso di rammaricarsi, anzi è più salutare. Sta ritornando il tempo dell’aiuto reciproco e del baratto. Per assistere al Musichiere venivo ospitato dai signori Piatti del pianerottolo del 5° piano. In famiglia avevamo una radio Marelli che aveva bisogno di un colpetto ben assestato per sintonizzarsi senza troppi gracchiamenti. Però mi bastò per ascoltare la radiocronaca dell’incontro vinto da Benvenuti contro Griffith. Mia madre, qualche anno dopo mi diceva ridendo che si ricordava le mie mosse come se fossi sul ring. Morì di cancro poco dopo perché allora non c’erano cure. Quando chiesi a mio padre perché non avevamo la televisione, come gli altri signori del pianerottolo, mi rispose che loro non avevano figli. Mi dovette bastare. Correvo sempre per arrivare in Oratorio, era un modo per riscaldarmi. Ho vissuto a Milano e degli inverni ricordo il profumo delle caldarroste passando di fianco al signore meridionale che le arrostiva in strada con il suo triciclo e il pentolone. Mi fermavo e allungavo le mani per scaldarle, ma anche perché lui, buonanima, a volte mi allungava una castagna. Io gli sorridevo e lui mi diceva: corri a casa. Sì, là avrei trovato la stufa a carbone accesa. Ero considerato un “terrone del Nord” e per questo andavo d’accordo con i “terroni del Sud”. La fame non fa distinzioni, è imparziale. Scrivo tutto questo per impedirmi di cadere in piagnistei legati all’attualità e per farmi memoria che ci sono tanti, troppi, che stanno peggio di me. 
Un lari al è un lari (un ladro è un ladro) scrive Enos Costantini e aggiungo: lo è anche chi pianifica, chi tiene il sacco e chi giura il falso potendo contare sulla protezione degli amici. 
Une bussade a ducj: amici, nemici e persino falsi amici.     

 

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